A 43 anni dal sisma, il ricordo dell’apocalisse

Ivano Montano

23 novembre del 1980: breve cronaca di una giornata nata “strana”, a cominciare da un cielo grigio e un caldo afoso decisamente fuori stagione. In qualche appartamento, scoppiano lampadari e qualche forno in cucina, forse un presagio o più verosimilmente i primi segnali provenienti da un sottosuolo già in tumulto. Il pranzo domenicale e la partita: si gioca al Vestuti, per la Salernitana due punti assicurati contro la Turris. Ma i granata pareggiano 1 a 1 solo all’ultimo minuto grazie a una palombella di Giovanni Zaccaro che sfida le leggi di gravità. Nel pomeriggio, molti non escono di casa perchè minaccia pioggia, per giunta c’è in TV la differita di un tempo del campionato di calcio di serie A, altro che Sky, Dazn e via dicendo. Si tratta di Inter-Juventus. Partita interrotta dal black-out improvviso. Pochi secondi di smarrimento e poi la parola terrore che assume una forma ben definita, difficile da spiegare. I palazzi, a Salerno, dondolando quasi si scontrano tra di loro, il rumore è quello della fine del mondo, il timore pure. Dopo un minuto e mezzo di preghiere sussurrate e urlate e grida disperate, la corsa di genitori in cerca dei propri figli e la fuga di tutti verso le piazze cittadine, lontano da palazzi che, a causa della paura, sembrano grattacieli. Sopravvissuti che si stringono in un unico abbraccio, poi giungono le prime notizie dei tanti morti. Nei giorni a seguire, nasce la Protezione Civile, negli anni a seguire parte una lenta, lentissima ricostruzione. Sono trascorsi 43 anni e in tanti luoghi dell’entroterra le ferite sono rimaste aperte e le macerie restano lì a imperitura memoria di una giornata nata “strana”.

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