"Nessun elemento nuovo è stato apportato rispetto al procedimento di primo grado. Da nessuna delle parti, in causa”. Questa la sintesi delle 102 pagine di motivazioni della sentenza dei giudici della Corte d'Appello (presidente Patrizia Cappiello, a latere Silvana Clemente e Mariella Ianniciello) che, a luglio scorso, hanno assolto tutti gli imputati nel cosiddetto "processo Crescent" tra cui il presidente Vincenzo De Luca.
Secondo la Corte, il ricorso dei pm Guglielmo Valenti e Rocco Alfano è inammissibile per «carenza di interesse attuale e concreto» perché se anche i reati paesaggistici, al momento del processo in Appello, secondo la Procura non erano ancora prescritti, la richiesta di modifica della sentenza di primo grado non risponde ai tre criteri sanciti dalla Corte di Cassazione: concretezza dell'interesse, rispondenza di tale interesse ad una ragione esterna al processo e la natura obiettivamente riconoscibile di tale interesse.
Per quanto riguarda l'autorizzazione paesaggistica in zona sottoposta a vincolo, scrivono i giudici, l'illegittimità riguarda il solo iter formativo dell'atto stesso pertanto «non configura reato anche perché «il giudice penale non può sindacare e censurare, attraverso il vaglio di legittimità, valutazioni rientranti nella sfera tecnica».
Riguardo agli appelli proposti da Italia Nostra e No Crescent contro la sentenza di primo grado, anche questi sono «generici e privi di indicazioni dei motivi specifici».
Mentre il ricorso proposto dai legali di De Luca è «infondato» e il quadro probatorio ipotizzato «incerto».
Infine un passaggio sulla richiesta di confisca: «Non è consentita» scrivono i magistrati in quanto il giudice penale può intervenire «ex post» sanando una situazione di pregressa lottizzazione abusiva ma non quando vi è una legittima determinazione dell'autorità amministrativa, «esclusiva ed unica titolare del potere di programmazione edilizia».